25 Agosto 2023

Tra i servizi erogati dalla Fondazione ormai da quasi trent’anni c’è quello del ricovero riabilitativo a tempo pieno poi riclassificato in cure intermedie. Il servizio opera quasi 300 ricoveri in un anno con una degenza media di circa 30 giorni a carico del SSR e da sempre è un fiore all’occhiello della struttura.

All’interno del servizio la maggior parte dei ricoveri proviene dall’ASST di Mantova o comunque dagli ospedali per acuti e una parte meno consistente, ma altrettanto importante, dal domicilio. Tra le patologie trattate vi sono i postumi della frattura del femore operata e
dimessa verso il nostro servizio dopo circa 5-7 giorni dai reparti di ortopedia. Buona parte di questi pazienti ha una elevata multimorbilità fisica e cognitiva, quest’ultima in particolare è presente in circa il 40% dei ricoverati. La statistica dice che alla dimissione, circa il 42% non recupera la piena autonomia premorbosa, il 35% è incapace di deambulare senza ausili o assistenza, il 20% non riesce più a fare la spesa in modo indipendente e il 20% viene ricoverato in RSA entro il primo anno dopo la dimissione riabilitativa.

Questi dati evidenziano che ciò che influisce sul recupero funzionale sono prevalentemente la demenza, gli eventi acuti intercorrenti, il delirium, la polifarmacologia e la nutrizione spesso complicata dalla disfagia. Quest’ultima è stata diagnosticata sul 35% nei pazienti con frattura di femore nei primi giorni del ricovero riabilitativo e il delirium è presente in circa il 30% dei pazienti con disfagia.
Da quanto riportato si evince come i problemiindicati coinvolgano tutte le figure del reparto, dal medico all’infermiere, dal fisioterapista al logopedista, dall’oss all’assistente sociale. Questo team è fondamentale per intercettare prontamente i problemi per una repentina risoluzione.

Molto spesso questi pazienti anziani multimorbidi, dopo l’operazione vengono destinati a servizi riabilitativi estensivi mentre è comprensibile che la complessità del lavoro del team multiprofessionale necessita di interventi intensivi rapidi ed efficaci. Di fatto analoghi criteri di tempestività sono da tempo adottati dagli ortopedici che in caso di frattura di femore operano il paziente entro 48 ore dal trauma e ciò ha permesso negli anni una prognosi decisamente migliore, allo stesso tempo anche la riabilitazione deve avere gli stessi criteri almeno nelle prime tre settimane che si mostrano le più critiche per potenziali eventi avversi.

Rimane fondamentale la riunione periodica e regolare del team riabilitativo per puntualizzare i problemi, gli obiettivi e gli interventi da attuare condividendo, col caregiver, il progetto riabilitativo nel suo complesso programmando per tempo le dimissioni e gli interventi da attuare al domicilio.


25 Agosto 2023

Non si tratta di tecniche che consentano di vedere l’immagine anatomica, non sono morfologiche. Permettono invece di capire se e come nervo e muscolo funzionano. Si può stabilire a quale velocità (m/sec) un nervo conduca un impulso artificialmente erogato e che rispecchia esattamente la velocità con cui viene condotto un impulso del tutto naturale. E non solo di un nervo o di tutti i nervi ma permettono di verificare gli stessi dati per quanto concerne il midollo spinale e il cervello. Consentono di guardare solo le vie sensitive o anche solo le vie motoriee sempre permettono di individuare il preciso luogo del danno.

Insieme con altre caratteristiche della figura evocata è possibile, quindi, capire se quel nervo o tutti i nervisiano danneggiati e dove il danno abbia esercitato il proprio effetto. È così che si può documentare, per esempio, cheil nervo mediano è danneggiato a livello del polso nella sindrome del tunnelcarpale. Se le caratteristiche della conduzione vedono un calo consistente della velocità in presenza di potenziali di ampiezza normale si saprà che solo il rivestimento mielinico è danneggiato mentre le componenti assonali sono integre e ancora sane, ancora funzionanti. Così, nella Sclerosi multipla proveranno che tutte le strutture periferiche funzionano alla perfezione mentre il danno si trova, per esempio, nel midollo spinale e, per que sto, la gamba ha perso la sua naturale sensibilità. Al contrario, se l’ampiezza dei potenziali è compromessa, si saprà che anche gli assoni sono danneggiati e irrimediabilmente alterati.

In questo modo si ha la possibilità di stabilire l’entità, la natura del danno e quanto questo sia riparabile. E per addentrarci nell’aspetto clinico, queste tecniche forniscono la possibilità di rispondere a domande anche
più specifiche: di fronte a una difficoltà motoria degli arti inferiori, possono testimoniare il danno esercitatodal diabete e quantificarne l’entità o possonoindicarci una radice spinale sofferente a causa di un’ernia del disco.

Davanti alla difficoltà motoria nel cammino possono svelare una miopatia primitiva o secondaria a qualche trattamento farmacologico, le statine, il cortisone o invece indicare la presenza di una distrofia muscolare. Questi esami possono giungere alla distinzione di quali vie siano sofferenti avvicinando così il clinico ad una diagnosi di malattia. Possono documentare la disfunzione di strutture nervose anche molto profonde e operare distinzioni di causa. Possono per esempio distinguere tra la natura vascolare o infiammatoria di una lesione.

Tale distinzione è impensabile sulla scorta di un’immagine radiologica. In termini generali un medico si rivolge all’elettromiografia o ai potenziali evocati quando si trova di fronte ad una alterazione, motoria, sensitiva o sensorialee desideri conoscere quale struttura periferica  o centrale sia malfunzionante, dove si trova il sito di alterazione e quale sia la natura del danno esistente. Così come la perdita o la forte riduzione dell’acuità visiva possa dipendere da una lesione del nervo ottico o che questo ne sia completamente estraneo, indirizzando la ricerca altrove.

Lo studio neurofisiologico risulta particolarmente utile in distretti dove gli esami radiologici morfologici non siano facilmente praticabili, come a livello del piano pelvico. Così di fronte ad una disfunzione urinaria si potrà capire se e quali strutture nervose con il loro malfunzionamentosiano la causa dei sintomi.

Si tratta di tecniche diagnostiche non invasive e ben tollerate dal pazienteanche quando questi sia un bambino, che vengono condotte in breve tempo e forniscono una risposta immediata. Alle tecniche neurofisiologiche viene, inoltre, affidata la diagnosi di malattie più rare e meno conosciute come la miastenia gravise le sindromi miasteniche o di malattie sostenute da tossine come il tetano o il botulismo, di malattie infiammatorie come le poliradicolonevriti.

Laura Bertolasi
Medico Neurologo della
Fondazione Mazzali


4 Settembre 2015

L’ambulatorio si rivolge ad una fascia ampia della popolazione fra i 55 e i 75 anni, con finalità educative e preventive e alle persone che hanno famigliari già malati. È dimostrato che in questi anni gli eventi bio-psicosociali dell’invecchiamento e un eventuale deterioramento cognitivo, iniziano subdolamente a intaccare i sistemi neuro endocrini del cervello e del corpo aprendo, in modo asintomatico, la strada alle demenze, alle depressioni e a tutte le grandi patologie cronico degenerative.

La ricerca ha evidenziato  che intervenire in questo ventennio attraverso una prevenzione ed educazione a tutto campo assicura in un’alta percentuale di casi il mancato insorgere di queste malattie o, in altri casi, ne posticipa l’insorgenza o ne attenua i sintomi.

La conoscenza dei meccanismi d’azione della sofferenza cerebrovascolare e di tutti i sistemi dell’organismo è ormai avanzata. In tal modo si possono cambiare i nostri stili di vita, assicurando una vecchiaia libera da queste malattie.

Ricordo che, se anche esiste una famigliarità, oggi si sa che modificare uno stile di vita comporta cambiamenti positivi anche nel patrimonio genetico (epigenetica).

L’ambulatorio sancisce un patto di impegno reciproco fra la persona che afferisce e il medico specialista o un altro operatore addestrato al modello. L’ambulatorio si propone anche di seguire nel corso degli anni (follow up) i pazienti, per indirizzarli passo dopo passo verso l’obiettivo di un alleviamento dei sintomi delle demenze, delle depressioni e di tutte le patologie degenerative.

LA VISITA: UN PATTO CONDIVISO

La visita si compone di due momenti: il primo eseguito dall’infermiere e il secondo dal medico (ma potrebbe essere anche uno psicologo o pure l’infermiere o un operatore addestrato). Un aspetto importante del metodo è infatti che, trattandosi di prevenzione ed educazione, non è indispensabile la presenza del medico o dello specialista, escludendo l’utilizzo dei farmaci e/o integratori che il paziente può assumere o meno.  In tal caso ci si può avvalere della figura del medico di famiglia che darebbe la propria consulenza.

L’AMPEDD quindi è un’offerta preventivo-educazionale che, per il suo approccio multimodale,  può essere appresa e condotta da diverse figure professionali. È questo un aspetto importante, perché non vincola il metodo alla sola figura del medico, ma è multiprofessionale (a patto di conoscere bene in particolare i sei pilastri della prevenzione).

SCHEDA INFERMIERISTICA

L’infermiere raccoglie i dati anagrafici, poi chiede il livello di scolarità. Questo è un punto importante, perché maggiore è il livello di scolarità e più alta è la riserva cognitiva. Ciò è un dato epidemiologico, quindi evidentemente non esclude il fatto che anche chi ha una bassa scolarità possa possedere una buona riserva cognitiva.

È anche vero che scolarità elevata più facilmente si coniuga con abitudine a leggere, studiare, informarsi. È un dato quotidiano notare che la maggioranza di chi sviluppa deterioramento cognitivo, a tutt’oggi, ha una scolarità massima della quinta elementare. Si può affermare con sicurezza, anche dalla semplice osservazione in un ambulatorio di CDCD (Centro Disturbi Cognitivi e demenze) come il nostro, il livello di scolarità correla in modo significativo sullo sviluppo o
meno di una demenza. Con ragionevole certezza si può dire che, chi per esempio ha una laurea, se si ammalerà di demenza lo farà almeno più tardi rispetto a chi ha un livello scolare basso.

Si indagherà pure il lavoro svolto in passato, o tutt’ora in atto. Pure il tipo di lavoro può avere un impatto sullo sviluppo
o meno di un deterioramento cognitivo. Un lavoro artigianale, o di dirigenza, o di alte responsabilità è più protettivo rispetto ad un lavoro ripetitivo e di scarsa responsabilità. Anche qui la clinica è sovrana. Essa ci mostra l’enorme variabilità di casistica, che comunque conferma le riflessioni appena fatte sul tipo, la durata e il contesto del lavoro svolto.

Anche la frequenza di relazioni sociali durante il lavoro è significativa. Ricordo che con frequenza i famigliari di un malato che per esempio lavorava in un negozio, continuavano a portare la mamma nel negozio, anche se già ammalata, arginando così i sintomi demenziali.

Quindi lavoro più relazioni sociali è un fattore protettivo. E ciò vale molto anche per chi è stato nel mondo della scuola o della sanità. Anche la situazione economica è importante. Se il reddito è basso è più facile ammalarsi di demenza. Una serie di fattori diversi spiega ciò. Chi ha più possibilità economiche, ha probabilmente maggiori stimoli cognitivi.

Da non trascurare l’alimentazione: chi è povero avrà meno possibilità di una dieta ricca e variegata rispetto
alla persona benestante. Quindi reddito e nutrizione sono in stretta relazione.

Viene poi indagata l’abitazione. In particolare si può evidenziare qualche differenza fra chi vive in città, in paese e chi più isolato in campagna.

In città gli stimoli sono maggiori. Ma è anche vero che è più alto il rischio di solitudine e isolamento. Chi vive in paese ha più spesso maggiori relazioni sociali. Chi abita in campagna rischia la solitudine, anche se ha maggiori stimoli fisici e manuali.

Dall’intersecarsi di tutti questi fattori, ogni persona potrà contare su stimoli o al contrario deprivazioni che influiranno sulla sfera cognitiva. Da non sottovalutare poi la qualità dell’aria, che avrà ovviamente più inquinanti in città e meno in campagna. Importante sapere chi è il medico curante, che resta sempre il riferimento fondamentale per gli operatori
dell’ambulatorio e che andrà sempre informato delle visite eseguite.

Può essere infatti un alleato fondamentale del patto instaurato con l’ambulatorio di prevenzione ed educazione. Sulla famigliarità si è già detto dell’importanza che può avere: in sintesi si può comunque dire che non va né ignorata né demonizzata, ma conosciuta con precisione (quando possibile). Importante ovviamente è conoscere l’utilizzo di farmaci e/o integratori.

Il medico specialista o il medico di famiglia potranno valutare caso per caso, soprattutto in relazione ai fattori di rischio cardiovascolari.Controllo della pressione arteriosa, ECG, peso/altezza, circonferenza addominale, BMI ed eventuali esami recenti completeranno la prima fase infermieristica della visita.

STILE E SITUAZIONE DI VITA

Nella vita ci sono cose che dipendono da noi e altre no. Possiamo scegliere in buona parte il nostro stile di vita, ed altre cose non le possiamo cambiare. Ci resta però la possibilità di adattarci ad esse il meglio possibile. Rispetto a questa rapida premessasi svolge l’analisi che farà il medico (o chi per esso) assieme al paziente.

Questa fase va fatta insieme. “Come consideri” è la parte del paziente. “Considerazioni del medico” sigla il suo punto di vista e “dove posso e voglio migliorare” è il patto condiviso come impegno per il futuro prossimo.

I punteggi “pesano” l’item rispetto al valore complessivo dello stile di vita e delle situazioni nelle quali si trova il paziente. Alcune sono ovviamente più pesanti di altre. La prima parte dà un totale in positivo. Più il numero si avvicina al massimo di 70 migliore è lo stile di vita.

La seconda parte “pesa” in negativo quelle situazioni di vita che sono problematiche.

Chi si avvicina di più a -30 ha molte difficoltà. Verrà poi fatta la sottrazione del totale della prima parte con il totale
della seconda parte. Ancora una volta più il risultato si avvicina a 70 migliore è lo stile di vita accorpato alle situazioni di vita. Chi parte con un punteggio più alto avrà meno cose su cui impegnarsi e viceversa.

La tua alimentazione pesa 10 punti. Infatti è nota a tutti l’importanza della nutrizione. In questo item la convinzione del paziente e del medico può scostarsi più di altre. Infatti, per esempio, una persona può credere di alimentarsi bene invece il medico non è d’accordo (e glielo spiega). Inoltre il paziente potrà poi leggere sul manuale tutti i criteri di una dieta corretta per la propria mente e non solo.

Attività fisica

Anche questa è una pratica importantissima per star bene. Ha un peso importante nello stile di vita. La sedentarietà
è una delle cause principali di problemi e patologie. È importante valutare il quanto e il come si fa l’attività fisica: può essere considerata sufficiente per il paziente e non per il medico. In tal caso l’azione educativa del medico o di chi per esso è fondamentale.

Sonno

Un buon sonno è importantissimo per la salute. È vero che ogni persona ha bisogno di un numero di ore diverse per dormire. Ma il dato è che oggi si dorme meno di una volta. È poi importante la qualità del sonno. Valutare questo dato insieme al medico è molto significativo (pensate per esempio alle apnee notturne).

Umore

Il nostro umore ha grande valore nel vissuto interiore delle persone, che si traduce nella qualità delle relazioni. Misurare l’umore nella nostra vita assume un posto importante nel complesso dei fattori che compongono lo stile di vita di una persona. Se si è depressi tutta la quotidianità è come filtrata di grigio, e se si è su di morale la percezione della vita è tutta diversa.

Scopi e soddisfazioni di vita

La domanda “ti senti realizzato” formalizza una sensazione di fondo, che può essere positiva o negativa, a seconda che gli scopi di vita coincidano o meno con le aspirazioni interiori. È quindi un aspetto importante, che ha a che fare soprattutto con le situazioni di vita, che non sempre abbiamo scelto. Se scopi di vita e soddisfazioni coincidono, ciò si configura come un ottimo punto di partenza.

Relazioni

Il punteggio 10 testimonia il grande valore delle relazioni umane per ogni persona. Più sono numerose e positive (compresi gli animali), migliore è la qualità dello stile di vita e viceversa. È uno dei punti che si possono modificare, impegnandosi ad accrescere il numero di persone e a migliorare la qualità delle nostre relazioni.

Lavoro / pensione

Questo aspetto è fondamentale. Se ancora si lavora c’è meno possibilità per il tempo libero, ma d’altro lato le motivazioni di vita sono in genere maggiori. Vivere bene la pensione è  un’arte che non tutti posseggono. Qui il patto col medico può essere molto utile per offrire suggerimenti e aggiustamenti

Attività sociali

Le amicizie, in primis, hanno un ruolo fondamentale nell’economia di vita di una persona positiva. Ma anche la spiritualità può offrire una marcia in più nella quotidianità. Il volontariato è uno degli strumenti positivi da utilizzare, specie se si è già in pensione. Da ultimo l’importanza dei Social, che hanno senso se usati come contorno, e non come elementi centrali del vivere. La vita sociale offre anche tante piccole occasioni quotidiane di socialità, che possono stimolare il cuore e stimolare la mente.

Interessi culturali

Siamo qui nel mezzo della riserva cognitiva: se è elevata, la lettura e lo studio più facilmente sono strumenti utilissimi per la qualità della giornata. Pure l’uso corretto della TV, cinema, spettacoli, hobby, viaggi e musica può formare un puzzle variegato e ricco di interessi che rende il vivere molto più interessante.

Riserva cognitiva

Come appena detto, essa è come il fuoco sotto la cenere. Mantiene caldo gli interessi, stimola la curiosità, si apre allo stupore di cose nuove, educa alla bellezza.

Alla fine di questa carrellata si sigla il punteggio raccolto dal paziente e dal medico, ma soprattutto si concorda assieme i punti da migliorare e quelli nuovi da intraprendere, specie negli items carenti.

 

La terza facciata analizza i Problemi.  È caratterizzata da punteggio al negativo, che poi faranno la sommatoria dei
precedenti. Il massimo negativo è -30.

Problemi fisici

Le malattie e soprattutto l’impatto che possono avere sullo stile di vita sono il primo problema. Se una persona ha un dolore importante ad un ginocchio che lo relega a fare pochi passi, ciò impatta molto sulla qualità della vita. Anche il numero e il tipo di farmaci assunti possono incidere molto, mentre l’anamnesi famigliare ci deve indurre a conoscere alcune nostre potenziali fragilità.

Problemi psichici

Il vissuto interiore può raggiungere livelli patologici, che, se pur leggeri, possono interferire negativamente con la quotidianità. Se uno è molto ansioso, ciò ridurrà il suo benessere.

Problemi lavorativi

Il lavoro è una grande risorsa, ma può nascondere problematiche relazionali, organizzative economiche.

Problemi economici

Sotto una certa soglia il livello economico diventa un problema significativo del vissuto normale.

Problemi affettivi

Una separazione recente, litigi continui, un lutto recente, la solitudine, la lontananza dei nostri cari incidono negativamente sulla qualità della vita, fino a scatenare a volte patologie psichiche e problemi fisici.

Problemi abitativi

Una casa malsana, rumorosa, la mancanza di ascensore, una casa troppo piccola (o troppo grande), un eccessivo
affollamento o troppa solitudine possono mettere in difficoltà una persona.

Alcool – fumo – sedetarietà – solitudine – isolamento

Quando questi fattori superano una certa soglia la qualità della vita scade drammaticamente.

Altro

Qualunque altro fattore negativo come ad esempio la perdita, o problemi giudiziari, o la parziale perdita di autonomia fisica, o un ricovero ospedaliero, o uno sfratto, o un trasloco non voluto, o un rapido tracollo economico, o la perdita del
lavoro, non hanno punteggio ma possono rientrare nei precedenti item. Anche qui, ovviamente, si valuterà assieme al medico eventuali correttivi da intraprendere, quando possibile. Dopo questo patto condiviso e firmato si rimanderà alla successiva visita per valutare i miglioramenti eventuali avvenuti e si potranno analizzare temi da approfondire successivamente (per esempio la gestione dello stress, come apprendere l’ottimismo ecc), rilanciando così uno stile di vita complessivo migliore di prima.

In tutto ciò la dimensione educativa si affiancherà in modo indissolubile a quella preventiva.

Renato Bottura
Direttore Scientifico
della Fondazione Mazzali